Maura Forte resiste, tra cambi di casacca, dimissioni e sentenze del Tar, alla guida di un’Amministrazione che non rappresenta (più) la maggioranza dei vercellesi.
L’odierna sentenza del Tar Piemonte ha il merito di sciogliere, una volta per tutte, l’annosa questione del numero legale necessario per aprire una seduta del Consiglio comunale. Il Tribunale amministrativo ha stabilito che, in caso di contrasto tra Regolamento e Statuto, è quest’ultimo a prevalere: e quindi “le riunioni di seconda convocazione sono valide con la presenza di almeno un terzo dei consiglieri assegnati, escluso il sindaco”.
Ora: che debba essere un tribunale a dover dirimere tale questione è un’evidente prova di come, al Comune di Vercelli, siano ormai saltate da tempo tutte le regole, e di come le forme vengano di volta in volta piegate alle convenienze: un Consiglio che in quattro anni non sia stato capace di uniformare il Regolamento allo Statuto, e un Segretario generale che abbia pervicacemente dato un’interpretazione opposta a quella oggi statuita dal Tar, costituirebbero già motivi sufficienti per commissariare l’Ente e mandare tutti a casa: sindaco, Consiglio e Segretario. Andando comunque – beninteso – a verificare le responsabilità di chi, in questi anni, non ha permesso che si tenessero le sedute anche quando all’appello risultava presente in aula più di un terzo dei consiglieri: ma siccome erano quelli dell’opposizione…
Il pronunciamento del Tar, che dopo settimane di stallo consentirà la surroga dei consiglieri dimissionari e probabilmente permetterà all’Amministrazione Forte di arrivare al termine del mandato, non toglie né aggiunge nulla a un dato di fatto politico: e cioè che oggi, aprile 2018, il Consiglio comunale non rappresenta più il voto dei vercellesi, e che l’Amministrazione – sindaco e Giunta – non gode della fiducia della maggioranza dei concittadini. Già non l’aveva nel 2014, ma oggi meno che mai.
Giova ricordare qualche dato. Quattro anni fa Maura Forte venne eletta, al ballottaggio, con 11.200 voti su 37.800 elettori: fu votata, quindi, da meno di un terzo dei vercellesi. E buona parte di quegli 11.200 consensi provenivano da simpatizzanti di SiAmo Vercelli, gruppo che al primo turno aveva ottenuto più di 4 mila voti e con cui la nostra, al ballottaggio, si era “apparentata”.
Conclusasi anzitempo – per le note divergenze politiche e personali – l’esperienza amministrativa Pd-SiAmo, Maura Forte avrebbe dovuto dimettersi immediatamente, in modo da rilegittimarsi facendosi rieleggere senza i voti dei SiAmo. Ma siccome i 7 mila voti del Pd (meglio: che allora aveva il Pd…) non le garantivano la rielezione, ha invece preferito – per rimanere su quella poltrona – cercare alleanze in gruppi che alle comunali avevano proposto candidati alternativi a lei. Pure e smaccate manovre di palazzo, alla faccia degli elettori. E siccome in quest’arte è bravissima, le alleanze le ha trovate: per più di due anni si è barcamenata grazie al sostegno più o meno esplicito di chi, alle elezioni, aveva sostenuto quale sindaco Remo Bassini; è rimasta sindaco grazie ai voti – e ai conseguenti consiglieri – di 1670 elettori che, se alle urne avevano “preferito il sogno” Bassini anziché Forte, evidentemente non volevano che Forte facesse il sindaco.
Ciononostante, però, la prima cittadina oltre a non avere la maggioranza in città ne aveva una risicatissima in Consiglio: bastava un mal di pancia, un treno in ritardo, un impegno imprevisto… e andava sotto. Ha allora raccattato l’ex grillino Adriano Brusco (eletto da quasi 2 mila vercellesi che avevano votato per il Movimento 5 Stelle per non avere Maura Forte sindaco: altro caso di eterogenesi dei fini, o di voti dirottati, fate voi).
E quando, pochi mesi fa, la situazione è ulteriormente precipitata, quando anche gli esausti Maria Pia Massa e Giorgio Comella hanno deciso di lasciarla al suo destino, anziché dimettersi ha continuato a cercare altri voti in Consiglio: quello lascia, subentra quell’altra…
Un Consiglio che però – ed è questo l’aspetto più deprecabile, politicamente e umanamente – tra cambi di casacca e dimissioni non ha pressoché più nulla di quello che i vercellesi avevano eletto. Già il Partito Democratico aveva preso solo 7 mila voti (anzi, un po’ meno), ma li aveva presi anche e soprattutto perché in lista c’erano candidati che avevano raccolto centinaia di preferenze: Caterina Unio 219, Donatella Capra 201, Orlando Monteleone 189, Adriana Sala 146, Giordano Tosi 138. Tutta gente che, per un motivo o per l’altro, ormai se n’è andata dal Consiglio, ma se Maura Forte è lì deve dir grazie ai voti che costoro avevano ottenuto quattro anni fa. Così come Maria Pia Massa (169), Teresa Marcon (88), Lorenzina Opezzo (87), e forse dimentichiamo qualcuno: in Consiglio molti degli eletti dai vercellesi o hanno cambiato casacca o non ci sono più. Maura Forte farà l’ultimo anno da sindaco riunendo il Consiglio in seconda convocazione (per avere il numero legale: in prima la maggioranza non ce l’avrebbe comunque) e grazie ai voti, in aula, delle “riserve delle riserve”: gente che alle elezioni era stata trombata, e che da settimane inonda i social protestando per non aver ancora potuto poggiare il fondoschiena su quegli scranni; forse perché sa già che tra un anno dovrà abbandonarli, e difficilmente ci tornerà.
Ma a Maura Forte, di tutto ciò, non importa nulla. Dello scarso (e calante) consenso popolare, dell’essere lì grazie ai voti degli elettori dei SiAmo, d’avere una Giunta composta in gran parte da persone non votate da nessuno, degli assessori turnisti che se ne vanno sbattendo la porta, di un Consiglio comunale che vota mozioni e impegni (puntualmente disattesi), delle macerie a cui è ridotta la sinistra a Vercelli – fuori e dentro il Municipio – dopo questa consiliatura… di tutto ciò lei non si cura. Oggi, poi, ancor di più, alla luce della salvifica sentenza del Tar: fiat iustitia, et pereat mundus. Si sente investita di una missione, è convinta che senza di lei alla guida di Palazzo Civico la città sarebbe allo sbando; e allora resiste, attaccandosi a chiunque e a qualunque cosa, a dispetto di tutto e di tutti: non per la poltrona, dice, ma «per il bene della città». Après moi le déluge!
Quando, tra qualche tempo, scoprirà che Vercelli sopravvive anche senza di lei, e che i bar e le panchine – qui come altrove – sono pieni di gente che si riteneva indispensabile, sarà un brutto colpo: psicologico, prima ancora che politico. Prima di riuscire a ricostruire in città qualcosa di sinistra, però, passerà molto tempo: ed è questa, purtroppo, la principale eredità che Maura Forte lascerà a Vercelli.
Umberto Lorini
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