Trino. Risale alla prima metà del XIII secolo, l’hanno trascritto la paleografa Gavinelli e il musicologo Brusa sulla “Rivista internazionale di musica sacra”.
Nel luglio del 2012, all’interno del progetto “Manoscritti datati d’Italia”, la docente di paleografia Simona Gavinelli ha rinvenuto nella Biblioteca Civica di Trino quello che è da considerarsi allo stato attuale delle ricerche il più antico innario ambrosiano con musica.
L’innario conservato in Trino, Biblioteca Civica, MS 2, ascrivibile alla prima meta del sec. XIII, si presenta in veste pressoché completa.
Il contenuto, 38 inni, può essere grosso modo suddiviso in tre sezioni: Inni per le ore del giorno (nr. 1-8); Santorale e Temporale, integrati, seguono il modello di altri libri liturgici ambrosiani, iniziando da San Martino e terminando con la Dedicazione della chiesa (nr. 9-35); Comune dei santi (nr. 36-38).
L’innario è “interamente” provvisto di notazione musicale, quella comunemente definita “a losanghe”, propria della tradizione ambrosiana.
Lo studio pubblicato sulla “Rivista internazionale di musica sacra” dalla Gavinelli e dal musicologo Brusa propone la trascrizione testuale, musicale e la riproduzione dell’intero manoscritto.
Trino e la Biblioteca civica “Favorino Brunod”
Durante il primo Medioevo il territorio di Trino rimase soprattutto sotto il controllo dei marchesi del Monferrato i quali, verso il 1123, accolsero nel monastero di S. Maria di Lucedio l’ordine cisterciense in dinamica espansione, in antagonismo con i contermini benedettini della vicina S. Genuario di Lucedio, fondata in epoca longobarda nel 707, fino alla costituzione del borgo franco di Trino nel 1210 da parte del Comune di Vercelli (con la rinuncia definitiva delle pretese marchionali nel 1214 a seguito di un lauto indennizzo).
L’influsso dei marchesi del Monferrato ebbe comunque dei riflessi locali anche sui culti santorali dal momento che la dinastia dei Paleologi di Casale Monferrato tenne in alta considerazione la beata trinese Maddalena Panattieri (1443- 1503), una terziaria domenicana impegnata nella promozione del movimento dell’Osservanza e le cui reliquie sono conservate e venerate nella chiesa quattrocentesca di S. Domenico, denominata anche di S. Caterina d’Alessandria, connessa con il complesso domenicano. Alla fine del sec. XV, durante la dominazione paleologa, la posizione di collegamento con le città universitarie di Pavia, e poi di Torino, favorì l’insediamento di alcune dinastie di tipografi (i Borgominieri e i Portonari), che poi si trasferirono a cercare fortuna in città più importanti d’Italia e d’Europa, come avvenne per la più celebre dinastia dei Giolito de Ferrari, attivi soprattutto a Venezia dopo gli esordi locali del 1483.
La continuità culturale della cittadina vercellese è attualmente testimoniata dai fondi librari, soprattutto storici, della Biblioteca civica, inaugurata dopo reiterati trasferimenti nel 1976 presso i locali di proprietà comunale ubicati nel chiostro del rammentato convento quattrocentesco di S. Caterina d’Alessandria (già S. Domenico).
Sul piano delle testimonianze librarie più antiche il nucleo senza dubbio più significativo è offerto dal cosiddetto “Fondo Bazzacco”, appartenuto al canonico trinese Giovanni Tommaso Bazzacco (1763-1838), di cui esistono scarse notizie biografiche. Condusse infatti un’esistenza discreta e sommessa, egualmente ripartita tra impegno pastorale e accesa bibliofilia, garantita da un carattere completamente diverso rispetto a quello del più celebre concittadino Giovanni Andrea Irico (1704- 1782), sacerdote erudito e raffinato che, dominato da una robusta vis polemica congiunta a forte protagonismo intellettuale giocato nel teatro intellettuale milanese, dopo avere ricoperto la carica di dottore della Biblioteca Ambrosiana di Milano dal 1748 al 1764, rientrò infine nella località di origine dove fu prevosto fino alla morte.
Bazzacco fu invece ordinato sacerdote nel 1788 e nel 1821 fu insignito della menzione onorifica di canonico del Santissimo Crocifisso, riservata ai canonici della collegiata di S. Bartolomeo. Oltre a occuparsi con particolare impegno alla cura animarum, in occasione delle soppressioni degli Ordini religiosi, varate in Piemonte per decreto napoleonico il 16 agosto 1802 (determinando l’inevitabile incameramento da parte del Demanio statale dei beni ecclesiastici delle varie Corporazioni, tra cui biblioteche ed archivi), iniziò a radunare i fondi librari superstiti provenienti dalle varie istituzioni cittadine. Con tale obiettivo si trasferì nel locale convento di S. Francesco (da lui acquistato durante la dominazione francese, e di cui divenne rettore) dove, nello spirito di salvaguardia delle “cose patrie”, prosegui nell’accrescimento della sua biblioteca personale, coadiuvato da alcune prebende con cui pretese di affrontare le spese per i continui incrementi librari. Nel 1807 il suo convento di S. Francesco fu messo disposizione dell’intera comunità per la sepoltura dei morti, compresa la sua, e l’anno successivo, come riporta pure l’intestazione del manoscritto ottocentesco Catalogo dei libri acquistati dal canonico Tommaso Bazzacco per la sua biblioteca, donata e destinata ai suoi concittadini nel 1808, l’intera biblioteca accumulata negli anni fu resa pubblica come dono ai propri concittadini, pur premurandosi di siglare ogni volume con il proprio ex libris: “Ex libris bibliothecae a c(anonico) T(homae) B(azzacco) in concivium commodum destinatae et traditae”. Dopo la sua morte la biblioteca fu trasferita insieme ai fondi prepositurali dell’Archivio parrocchiale, annesso alla secentesca chiesa parrocchiale di S. Bartolomeo, dove rimase fino all’epoca postunitaria quando, nel 1896, passò finalmente al Comune che si assunse l’onere di far costruire degli scaffali lignei. Nel 1900 la collezione fu nuovamente spostata presso i locali del centrale Castello, al cui primo piano erano state ospitate le scuole elementari maschili, per essere ricollocata di lì a qualche decennio prima all’interno della clausura del convento domenicano, quindi, dopo il 1945, ancora nel Castello.
La Biblioteca civica, ubicata dunque tra il 1951 e il 1976 nella sede di piazza Garibaldi, grazie alla direzione del maestro Favorino Brunod (cui fu in seguito intitolata), fu valorizzata attraverso un sistema di catalogazione più moderno, e nel 1976 approdò infine alla sua definitiva sistemazione presso i locali restaurati del convento domenicano di S. Caterina. Nel corso dei decenni il patrimonio iniziale si era comunque gradualmente ampliato, anche in virtù dell’immissione di alcuni lasciti importanti, tra cui quello del canonico Francesco Ormea, che nel 1871 garantì poco meno di un migliaio di unità, mentre alcune centinaia di libri furono assicurate nel 1926 dall’avvocato Costante Sincero e, qualche anno dopo, dal medico Giuseppe Bertone, fino ad arrivare, sommando le recenti acquisizioni, a oltre 30.000 volumi. La consistenza del pregevole e articolato “Fondo Bazzacco” comprende di fatto almeno 33 manoscritti, che partono dall’epoca medievale e arrivano fino al sec. XIX, 29 incunaboli, 140 cinquecentine, 142 edizioni del sec. XVII e 780 edizioni del sec. XVIII.
La biblioteca medievale
Sparuto, in proporzione, è il nucleo dei manoscritti medievali analizzati da Simona Gavinelli nel corso del censimento preliminare alla catalogazione dei Manoscritti Datati del Piemonte (esclusa la città di Torino). Si tratta di soli sette codici, in qualche caso frammentari, globalmente quattrocenteschi e di formato medio-piccolo. Il loro precipuo carattere liturgicodevozionale con buona plausibilità induce a ricollegarli alle sopravvivenze conventuali indigene rispondenti, come la predicazione e l’interpretazione artistica coeve, al clima della Devotio moderna e della diffusa spiritualità dell’Osservanza, assorbito anche dalle associazioni confraternali e improntato a una forte impronta rigoristica, volta a promuovere la meditazione individuale e le opere di pietà ispirate alla sequela Christi.
Sotto tale aspetto fa eccezione, in quanto tipologicamente diverso, l’Innario ambrosiano Trino, Biblioteca civica, MS 2, in comode dimensioni manualistiche per un’efficace trasportabilità, ma risalente alla prima meta del sec. XIII, per ragioni grafiche (la scrittura textualis italiana ai suoi primordi) e codicologiche della pergamena.
Pur facendo parte del “Fondo Bazzacco” esso non presenta il suo ex libris, ma solo il timbro ottocentesco di proprietà della Biblioteca trinese.
Per quanto sia acefalo, mutilo e fortemente rifilato nei margini, tanto da compromettere il formato originale, grazie alla presenza della notazione musicale costituisce la testimonianza più antica finora reperita sull’esecuzione melodica del ricco repertorio innodico della liturgia milanese, in quanto anteriore al Milano, Biblioteca Trivulziana, 347, databile alla seconda metà del sec. XIV, cui si era accostato in forma pionieristica il filologo musicale bavarese Bruno Stablein (1895-1978).
Nelle foto:
- In testa pagina: La sede della Biblioteca Favorino Brunod, presso il convento di Santa Caterina
- nel testo: Una pagina dell’innario.
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