Il vicesindaco (non eletto): abbattete il muro e il Comune vi dà l’agibilità. Ma la comunità islamica è divisa
TRINO. In città circa 750 persone – un decimo dei residenti – sono di religione musulmana, in buona parte marocchini. Pregano in una moschea, che però formalmente non si può definire tale: è stata ricavata nel 2013 nei magazzini di un’azienda metalmeccanica abbandonata, nella zona dei cementifici. All’ingresso c’è una targa di ottone con la data dell’apertura. È uno spazio di 240 metri quadrati, e al fondo dello stanzone c’è un locale ricavato tirando su tre muri e isolato da tutto il resto: le donne pregano lì dentro, collegate con una televisione a circuito chiuso, separate dagli uomini, come vuole la religione islamica. L’immobile, di proprietà dell’associazione Al Ferdaouus, non era mai stato messo in regola: mancava il cambio della destinazione d’uso, da industriale a luogo di culto. Tutti sapevano che era la moschea più grande del Piemonte orientale, più grande anche di quelle di Vercelli e Alessandria, ma la precedente Amministrazione non l’aveva mai riconosciuta come tale. Ora che l’Amministrazione comunale è cambiata il vicesindaco (non eletto) Roberto Rosso è andato a parlare con l’imam Omar Ali, egiziano, 35 anni. E gli ha detto: io vi rilascio le autorizzazioni per l’agibilità della moschea, ma voi abbattete quei muri e d’ora in poi fate pregare le donne insieme agli uomini. All’inizio la comunità islamica non ha reagito bene. Quando l’imam ha illustrato il progetto è stato quasi aggredito. Ma se vuole tenersi la moschea deve fare buon viso a cattivo gioco, e accettare le condizioni poste da Rosso: «Senza moschea – spiega Ali – saremmo stati costretti a pregare in strada, dove la separazione è impossibile. Tanto valeva accettare la proposta. Qualcuno griderà ancora, ma un poco alla volta si calmerà. I tempi sono maturi per una scelta del genere, e in quanto imam e guida della comunità, me ne assumo la responsabilità».
Per avere anche una “benedizione” dall’alto, durante una trasmissione televisiva Rosso ha contattato Izzedin Elzir, l’imam di Firenze che da sette anni è presidente dell’Unione delle comunità islamiche italiane, chiedendogli cosa ne pensasse. La sua risposta positiva ha avuto un certo peso negli ambienti più moderati della comunità musulmana di Trino. La pratica è quindi stata istruita in Comune: il muro verrà abbattuto, e la moschea di Trino diventerà la prima in Italia senza spazi separati. «La strada da seguire è questa», dice Elzir. «La separazione tra i sessi non corrisponde ai dettami di Maometto, che non ne ha mai parlato. È una consuetudine nata da una lettura estrema e parziale del messaggio coranico. Ormai è vecchia, da superare. Il nostro compito, come musulmani italiani, è proprio quello di indicare la direzione per un Islam moderno e integrato. Ben venga l’esempio di Trino».
Ma in città non tutti sono d’accordo: «Andremo a pregare altrove. Apriremo subito un’altra moschea» dice l’anziano Abdallah Faouzi. «Le donne distraggono gli uomini dalla preghiera, e le loro voci non dovrebbero mai sentirsi mentre parla l’imam. La loro presenza è un sacrilegio». Neppure l’ipotesi di una divisione per settori, prima gli uomini, poi i bambini, e dietro le donne, sembra convincere il signor Faouzi: «Il Corano lo proibisce».
[nella foto: Rosso con alcuni esponenti della comunità musulmana trinese]
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Così Rosso, liberale da strapazzo, s’infila nei buchi lasciati da Portinaro
La “questione moschea” è una delle tante lasciate irrisolte dall’Amministrazione Portinaro, e che – insieme a tante altre che la destra trinese enfatizza – ha contribuito a determinare il risultato delle recenti amministrative. L’ex sindaco – che, parafrasando Diego Novelli quand’era primo cittadino a Torino, «della propria città sa anche dove vanno a dormire i gatti» – sa bene che quell’immobile viene impiegato da anni dalla comunità musulmana trinese non solo come centro di incontro, ma anche come luogo di culto. Ora: sarà pur vero che né l’imam Omar Ali, né il leader locale Saddik Chamouti né altri eminenti musulmani trinesi sono mai andati in Municipio a chiedere formalmente il cambio di destinazione d’uso («basta assegnare l’incarico a un tecnico», afferma la consigliera Ferrarotti: e il collega Balocco cos’ha da dire in proposito, da professionista contattato dai musulmani e da ex assessore?), ma è chiaro che la questione è stata lasciata marcire per troppo tempo dalla Giunta Portinaro, e il furbo neovicesindaco Roberto Rosso ne ha immediatamente e mediaticamente approfittato: si erge a «civilizzatore» e paladino delle donne di religione islamica confinate a pregare in uno stanzino, e – confidando nel fatto che nove trinesi su dieci (e nove giornalisti su dieci) non capiscono nulla di norme urbanistiche né di Piano regolatore – si sostituisce agli uffici del Comune proponendo alla comunità musulmana il do ut des «voi fate pregare le donne insieme agli uomini e il Comune vi dà permessi e autorizzazioni». Permessi e autorizzazioni il cui rilascio non compete né al sindaco né alla Giunta, bensì ai funzionari che devono applicare le norme urbanistiche.
C’è poi, da parte di Rosso (e del sindaco Pane, a ruota), una particolare insistenza nel sottolineare: «abbiamo detto ai musulmani: dovete uniformarvi all’art. 3 della nostra Costituzione». Ora: pazienza per il giovane Pane, ma a Rosso – che si vanta d’essersi laureato in Giurisprudenza col massimo dei voti – un ripasso di Diritto Costituzionale non guasterebbe; l’art. 3 della Carta, infatti, recita “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge”: alla legge, scrissero i padri costituenti, non alla religione. Quindi il fatto che le donne musulmane, in Italia e altrove, preghino in una stanza dove non ci sono uomini (così come il fatto che le donne cattoliche non possano accedere al sacerdozio: ma su questo il confratello Rosso non dice nulla…) non è affatto una violazione dell’art. 3 della Costituzione, bensì una “regola” di quella religione, che non discrimina affatto uomini e donne davanti alla legge italiana. Che poi a convincere l’imam a mettere uomini e donne nella stessa stanza sia uno come Rosso che si professa “liberale”… è sintomo del fatto che anche sui principi del liberalismo Rosso avrebbe bisogno di una rinfrescata. Il conte di Cavour (un liberale serio che ha avuto a che fare con Trino), citando Montalembert, quando si discuteva dei rapporti tra Stato e Chiesa amava dire «libera Chiesa in libero Stato»: non ci siano ingerenze tra potere temporale e potere spirituale. Un secolo e mezzo più tardi arriva il sedicente liberale Rosso e teorizza l’autorità del Comune (del vicesindaco) su come devono pregare i musulmani. E Cavour si rivolta nella tomba.
Umberto Lorini
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