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La Bessa: immensa miniera d’oro dei Salassi

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La Bessa: immensa miniera d’oro dei Salassi

Allorché dovendo attraversare la Serra si percorre il tratto di strada compresa fra Mongrando e Zubiena, si nota una vasta zona occupata da una pietraia che la misera vegetazione locale costituita da rovi e noccioli misti al brugo non riesce a nascondere, mentre ai bordi, nelle zone marginali troviamo, in quantità molto modeste, piante di farnia, castagno, rovere e robinia, la quale ha sostituito quasi ovunque la precedente vegetazione.

area della bessa
Foto: L’area della Bessa

Questa zona, la Bessa, è compresa fra il torrente Viona a nord-ovest, il torrente Elvo a nord-est, il torrente Olobbia a sud-ovest ed il Rio della Valle Sorda a Nord di San Sudario; occupa un’area di circa 7,5 Km² e l’asse maggiore del territorio misura poco meno di 8 Km, mentre la larghezza massima, presso Cerrione, è pari a circa 2 Km.

In vari punti si possono ancora individuare solchi profondi dove veniva incanalata l’acqua proveniente dai torrenti prima ricordati e che doveva servire per le operazioni di lavaggio delle sabbie, infatti – al termine di tali canali – esistono grandiose pietraie che s’allungano verso la pianura e costituiscono il materiale di risulta dalle operazioni effettuate nelle “aurofodine” della Serra, la grande morena formata da nove cordoni alquanto divergenti verso la pianura e che risulta della lunghezza di 25 Km da Andrate a Cavaglià.

Facendo un passo indietro, mi pare utile ricordare che la pianura padana fino all’epoca di Wurm (Pleistocene) era sommersa dal mare che raggiungeva le Prealpi, mentre dalla Valle d’Aosta un immenso ghiacciaio dello spessore di oltre 1000 metri scendeva lentamente trasportando enormi quantità di sabbia e pietre.

Quando il mare si ritirò il ghiacciaio continuò il suo cammino levigando i fianchi della valle (rocce montonate) ed arando il fondo marino che spingeva davanti a sé: da qui nasceva il fiume Dora Baltea che, dopo Ivrea, si biforcava formando la cosiddetta Dora Grossa che passava da Cavaglià, mentre il ramo minore continuava il suo corso a sud di Ivrea.

A seguito del disgelo avvenuto – si ipotizza – circa 16 o 17 mila anni fa, il ghiacciaio, sciogliendosi, scaricò l’enorme quantità di detriti che trasportava formando l’anfiteatro morenico di Ivrea di cui la Serra costituisce l’accumulo detritico di sinistra.

La morena frontale di Mazzè, formata essenzialmente dal fondo marino che il ghiacciaio aveva spinto davanti a sé, non resse alla pressione esercitata dal grande lago formatosi all’interno dell’anfiteatro e si spezzò dando un nuovo corso alla Dora.

Prosciugatosi il fondo del grande lago, la vegetazione si sviluppò e, con essa, le attività dell’uomo che occupò ben presto la fertile zona.

Per gli storici greci e latini, il Canavese ed il Piemonte in genere erano considerati come territorio dei Liguri, di cui facevano parte i Salassi che occupavano la Valle d’Aosta e il Canavese ed i Vittimuli, che avevano colonizzato il versante nord-est della Serra, il Biellese e parte del Vercellese; c’erano poi i Taurini che non erano altro che Salassi scesi in pianura per occupare nuove terre, entrando continuamente in guerra con i vicini per il possesso di acque e territori coltivabili.

E veniamo ai Vittimuli ed alla loro ipotetica città che si indica col nome di Victimulae.

Le interpretazioni qui si sprecano: il nome è di origine celtica e “ict” significa punta e “mol” indica il sasso, quindi si potrebbe ipotizzare che Victimulae indicasse una località abitata di montagna, anche se non è stato possibile identificare con sicurezza il luogo dove sorgeva, mentre altri con il nome di “Victimuli” vollero semplicemente indicare un popolo di minatori particolarmente abili nello scavare gallerie per poi provocare crolli rovinosi dei fianchi montani da cui si estraeva il materiale aurifero: da uno a tre grammi d’oro per ogni metro cubo di sabbie lavorate, il che farebbe pensare che in due secoli si siano ottenuti 200 mila Kg d’oro dal titolo superiore a 20 carati.

Plinio, parlando della “Lex censoria Ictimularum”, parla degli Ictimuli come minatori e Strabone localizza le miniere d’oro in territorio vercellese: la Bessa infatti prima della costituzione della provincia di Biella è sempre stata in territorio vercellese. Studi recenti pongono il “vicus Ictimulorum” nella piana di San Secondo di Salussola, ma le opinioni divergono sensibilmente, anche perché Tito Livio (XXI-45) afferma che la località più vicina al luogo dove si svolse il primo scontro fra i Romani ed i Cartaginesi (la battaglia del Ticino) era Victimulae, per cui si pensa che il combattimento avvenne a sud di Vercelli, nella zona compresa fra Sesia e Ticino.

Poco prima i Cartaginesi, naufragate le trattative di alleanza coi Taurini, li avevano attaccati ed avevano distrutto la loro città (la futura Torino) che, al dire di alcuni studiosi, era allora ubicata nella zona della Pellerina che sovrastava quella pianura acquitrinosa dove il Po e la Dora Riparia si univano e dove, assai più tardi, sorsero le borgate di Vanchiglia e Valdocco.

Dopo il massacro dei Taurini, Annibale, che aveva un assoluto bisogno di oro per comprare l’alleanza delle popolazioni ostili a Roma, attaccò i Victimuli: da Andrate coi Numidi di Maarbale e da Salussola con le truppe del fratello Magone. Tito Livio afferma che la battaglia avvenne nel 216 a.C. a cinque miglia da Victimulae, ma la località non è nota anche se è logico pensare alle colline di Cavaglià e di Dorzano: i Cartaginesi ebbero la meglio e Diodoro Siculo parla di un grande massacro degli abitanti che, in buona parte, vennero venduti come schiavi.

Questi gli incerti brandelli di storia giunti fino a noi, mentre invece abbiamo ancora la possibilità di percorrere, con non piccolo stupore, l’immenso territorio della Bessa in cui, per oltre due secoli, gli Ictimuli prima ed i Romani poi compirono l’immenso lavoro che ancora possiamo vedere: quasi otto Km di pietrame, per una larghezza di circa 1,5 Km ed uno spessore di almeno 50 metri: tutto materiale estratto dalla Serra, lavorato ed accumulato.

Fra il I ed il II secolo a.C., oltre 5000 uomini, in parte schiavi e in parte provetti minatori ictimuli lavorarono all’attività estrattiva ed i numerosi reperti archeologici e frammenti di manufatti ci parlano ancora della loro fatica immane.

Nella Bessa è stata costituita nel 1985 una Riserva Naturale Speciale della Regione Piemonte e si presenta ora ben attrezzata con una costruzione-rifugio e facili sentieri punteggiati da cartelli esplicativi ad uso delle scolaresche e dei visitatori in genere; è visitabile in tutte le stagioni.

A Vermogno si trova l’Ecomuseo dell’oro ed il centro visita della Riserva; poco discosto ci sono Magnano, la comunità di Bose e la bellissima chiesa romanica di San Secondo.

La Regione Piemonte cerca in ogni modo di valorizzare detta riserva, non a caso definita “speciale” e, nella collana “Piemonte Parchi”, sono messe in rilievo le caratteristiche essenziali del sito che così possiamo sintetizzare:

Strade: costituiscono l’elemento dominante del paesaggio, sono per le più erbose e, nei tratti con fondo pietroso, si notano i solchi di antichi carriaggi.

Muri a secco: spesso di notevoli dimensioni, resti di grandiose opere di canalizzazione.

Pozzi aerei: si trovano per lo più negli avvallamenti ai piedi di alti cumuli di sassi e, per effetto di un semplice fenomeno fisico, condensano il vapore acqueo dell’atmosfera e producono acqua cristallina, freschissima, così pura da sembrare distillata.

Capanne: sono rimaste molte tracce di abitazioni affondate nella pietraia per favorire l’isolamento termico; non mancano poi ricoveri ricavati sotto massi erratici.

Focolari: se ne sono trovati parecchi, per lo più riuniti in gruppi di due o tre e vicino ai resti delle capanne o dei canali di lavaggio.

Incisioni rupestri: se ne vedono numerose sui massi erratici ove son presenti molte coppelle.

Frammenti: ovunque sono affiorati pezzi di anfore, di piatti, orci, oltre a coltelli, asce di pietra e lucerne.

Insomma su queste pietraie sta scritta una importante pagina di storia piemontese, ancora poco conosciuta nonostante sia stata oggetto di attenzione di antichi scrittori (Celio, Polibio, Plinio, Silio Italico, Cornelio Nepote, Ammiano Marcellino e in tempi posteriori Paolo Diacono, Isidoro di Siviglia, fino a Barthold Niebuhr e Theodor Mommsen).

In tempi recenti risultano interessanti varie pubblicazioni di Giovanni Donna, Carlo Rolfo, Giacomo Calleri, Mario Scarzella, oltre a numerosi articoli apparsi sui giornali locali e non.

Concludendo si può, a ragion veduta, affermare che trascorrere un giorno alla Bessa sia venire a contatto con pagine non trascurabili del nostro passato che lasciano nel visitatore un’impressione profonda.

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