Nella primavera di tre anni fa li incontravi con il distintivo della lista appuntato all’occhiello e ti chiedevano il voto. Ora la metà di loro ha cambiato schieramento, o gruppo consiliare, o è andato a fare altro. E comunque Maura Forte la sfanga sempre, perché se va a casa lei ci vanno tutti
VERCELLI. Breve riassunto per chi è andato via da Vercelli tre anni fa dopo aver votato, torna oggi, va in Municipio, entra in sala consiliare, vede i cartellini con i nomi scambiati e non ci capisce più niente.
Primavera 2014: Maura Forte – sostenuta da Partito Democratico, Vercelli Piemonte Europa e Cambia Vercelli – diventa sindaco (con 11.200 voti su 37.800 elettori) grazie all’apparentamento, al ballottaggio, con SiAmo Vercelli.
Passa un anno. SiAmo Vercelli, conosciuta da vicino la Forte e preso atto dei suoi metodi, sbatte la porta: lascia la Giunta ed esce dalla maggioranza. Che a quel punto, in Consiglio, non sarebbe più maggioranza. Si va alle urne?
Macché. A soccorrere Pd e alleati arriva il gruppo di Sinistra e Voce Libera, di cui fa parte Remo Bassini che si era presentato alla città quale candidato sindaco alternativo (“Preferisco un sogno”) a Maura Forte. Bassini, dopo qualche settimana di anticamera, viene nominato assessore all’ambiente, incarico che per qualche mese era stato retto da Franco Pistono (Cambia Vercelli, che alle elezioni aveva preso solo 66 preferenze e quindi non eletto). Al posto di Bassini, promosso in Giunta, in Consiglio entra Giorgio Comella (21 preferenze). Dopo qualche mese Bassini scrive una lettera di dimissioni e la porta al sindaco (che la tiene nel cassetto per settimane): lascia l’assessorato e torna ai romanzi.
La maggioranza continua però ad essere risicatissima. E allora ad Enrico Demaria, candidato sindaco del centrodestra e suo sfidante al ballottaggio, Maura Forte propone riservatamente un incarico fiduciario contro vandali, imbrattatori e fracassoni, «al servizio della città»; lui ne è entusiasta, ma le forze politiche che l’hanno sostenuto elle elezioni gli dicono: guarda Enrico, forse non è il caso. I suoi elettori lo fermano per strada e gli dicono: «aòh, che cacchio fai?». Demaria non capisce i motivi del veto, s’incazza coi suoi e tiene il muso per mesi.
Intanto Stefano Pasquino, eletto nella lista di Forza Italia, cambia gruppo ed entra in quello di Vercelli Amica.
Adriano Brusco, già candidato sindaco del Movimento 5 Stelle alternativo a Maura Forte, dopo aver chiesto per mesi le dimissioni della Forte per «indegnità» (banchetti in piazza, raccolta di firme, ecc.) entra in maggioranza nel gruppo Cambia Vercelli che sostiene la Forte stessa, reduce dal tribunale dove la Procura ha chiesto di condannarla a un anno e mezzo per una storia di firme sulle liste elettorali. A quel punto Paolo Campominosi, capogruppo di Cambia Vercelli, saluta la compagnia ed entra nel “gruppo misto”. In Cambia Vercelli restano quindi Emanuele Caradonna ed Aissatou Badji (entrambi eletti nella lista Pd) e Brusco (eletto come rappresentante del M5S). Nel frattempo Donatella Capra, eletta nella lista del Partito Democratico e poi entrata nel gruppo Cambia Vercelli, esce anche da questo e fonda quello di Articolo Uno (ma, essendo da sola, fa “gruppo misto”). Ad oggi l’unica candidata della lista Cambia Vercelli rimasta in Cambia Vercelli è Rosaria Vinci: mai nome, per un gruppo consiliare, fu più azzeccato.
Giordano Tosi fa per tre anni il capogruppo (sovente inascoltato) del Pd, partito del sindaco, poi se ne esce con una lettera – scritta con altri quattro – in cui dice: «d’ora in poi valuterò caso per caso se votare i provvedimenti proposti dal sindaco Pd». A quel punto nel partito si rendono conto che forse è meglio se cambiano capogruppo. E allora al suo posto nominano Costantino Zappino, che gli stessi eletti del Partito Democratico – quelli seduti accanto a lui in aula – hanno sonoramente trombato alle recenti elezioni provinciali. Tosi, privato dei gradi, esce dal Pd (ma resta in Consiglio); anche Manuela Naso, eletta nella lista del Partito Democratico, lascia il gruppo ma resta in Consiglio.
Assessorato al bilancio: delicatissimo e necessitante di nervi saldi e stabilità. Ebbene: dopo le brevi esperienze di Alberto Gibin ed Elena Delsignore (SiAmo Vercelli), Maura Forte chiama alla bisogna Andrea Coppo. Che resta un anno e mezzo, poi si dimette: la Forte, anziché chiedergli di ripensarci, gli offre un caffè. Incarico vacante per un po’. Al suo posto, dopo alcuni mesi di rovello, chiama (meglio: le portano) Gianni Cau; che in Giunta resta un anno, e poi viene mandato a casa (e non la prende affatto bene) per far rientrare Coppo. Un po’ in campo, poi in panchina, poi di nuovo in campo: come nelle partite di basket; e infatti la Forte, in attesa del prossimo time-out, gli aggiunge anche l’assessorato allo sport.
E i peones? Marcello Trada (SiAmo Vercelli, 118 voti), Caterina Unio (Pd, 219) e Valeria Barelli (Forza Italia, 127) dopo un ottimo risultato elettorale si dimettono: si rendono conto che – per varie ragioni – non hanno tempo di fare i consiglieri. Al loro posto entrano tre non eletti.
In Giunta, dopo un vorticoso giro di entrate e uscite che neanche nelle commedie di Feydeau (Emanuela Fornaro, Elisabetta Dellavalle, Adriana Sala Breddo…), da qualche mese ci sono Daniela Mortara, Graziella Ranghino e Paola Montano: tre che nel 2014 nessuno ha votato (anzi, no: la Ranghino si era candidata e aveva preso 16 voti…), e sono lì per incarico fiduciario del sindaco. Sindaco che tre anni fa aveva la fiducia di meno di un terzo dei vercellesi, e oggi chissà se ha ancora la fiducia di almeno metà del Consiglio.
Insomma: nell’aula di Palazzo Civico, che dovrebbe esprimere la volontà popolare e rappresentare la città, c’è ormai di tutto: equilibristi, trapezisti, giocolieri, domatori di belve, lanciatori di coltelli, donne cannone, pagliacci. Prossimo spettacolo il 27 luglio: venghino, siòri, venghino.
Umberto Lorini
direttore@lagazzetta.info
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