“Edilizia connection” al Comune di Saluggia: la Procura di Vercelli, dopo sei anni di indagini e udienze, chiede l’assoluzione dell’ex sindaco Pasteris
Uno dei principali problemi della Giustizia italiana è che i processi durano troppo. Sovente, càpita che tra il momento della commissione del (presunto) reato e la sentenza passino anni: e nel frattempo succedono un sacco di cose. Magari chi ha condotto le indagini viene trasferito altrove, magari muoiono importanti testimoni, magari vengono sostituiti i pubblici ministeri… tutte cose che, nell’economia di un procedimento penale, alla fine risultano decisive. E allora, rispetto al momento della commissione del (presunto) reato, cambia tutto.
Prendiamo, per esempio, il processo “Edilizia connection” – che ha coinvolto ex amministratori ed ex funzionari del Comune di Saluggia, oltre ad alcuni titolari di studi tecnici -, in questi giorni alle ultime battute presso il Tribunale di Vercelli. Indagini iniziate nel 2011, sentenza di primo grado nel 2017. Sei anni. Sei anni durante i quali la pubblica accusa prima manda i carabinieri in Municipio a sequestrar faldoni, poi chiede che l’ex sindaco Marco Pasteris venga messo agli arresti domiciliari, poi al termine delle indagini gli contesta cinque capi d’imputazione, poi – siccome il Giudice dell’udienza preliminare non accoglie tutte le richieste di rinvio a giudizio – ricorre in Cassazione. Poi però al processo, all’ultima udienza, con un triplo salto mortale avvitato e carpiato… ne chiede l’assoluzione. Evidentemente, nel frattempo è cambiato tutto. Ma soprattutto è cambiato il pubblico ministero.
La sentenza è imminente, meglio tardi che mai: ed essendo la stessa pubblica accusa a chiedere l’assoluzione, è difficile che la Corte non accolga la richiesta. Ma da cittadini che hanno fiducia – o, perlomeno, vorrebbero continuare ad averla – nella Giustizia, è inevitabile domandarsi come sia possibile che una Procura della Repubblica dopo mesi di indagini, interrogatori e sequestri di documenti, dopo anni di insistenza su precise tesi accusatorie che hanno portato l’indagato/imputato otto volte davanti al giudice dell’udienza preliminare, una volta in Cassazione e sedici volte in tribunale per il processo di primo grado, improvvisamente – dopo sei anni – cambi idea e ne chieda l’assoluzione. Mah.
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Il fatto che sia trascorso tutto questo tempo, però, non autorizza l’imputato a contar balle confidando nella scarsa memoria dell’opinione pubblica. In un comunicato diffuso attraverso il blog che gestisce insieme al suo ex vice Costanzo Rosa, Marco Pasteris – scrivendo in terza persona, come la Regina d’Inghilterra e qualche Pontefice del passato – ricordando le tappe della tormentata vicenda butta lì che «il 10 gennaio 2012 il sindaco Pasteris travolto dalla gogna mediatica scatenata dalle minoranze consiliari si dimette».
Fandonia sesquipedale: il 10 gennaio 2012 Pasteris si dimise da sindaco non perché «travolto ecc.», ma perché non riusciva più ad avere il numero legale per riunire il Consiglio comunale, dal momento che molti dei suoi (non le minoranze: i colleghi del suo gruppo) l’avevano abbandonato.
La sua lista “Rinascita Saluggese”, che sebbene votata da poco più di un quarto degli elettori (963 voti su 3500 aventi diritto) in Consiglio comunale aveva ben 12 seggi su 17, non riuscì a portare a termine il mandato perché i suoi membri se ne andarono. Fu uno stillicidio, una disgregazione progressiva: Pasteris fu scaricato prima da Gianni Caglioti e Ferdinando Anselmino (portatori, insieme, di oltre 100 voti), poi da Lino Ceretto Castigliano, poi ancora da Lucia Pizzo e Ferdinando Forziati. Non riuscendo più ad avere il numero legale in aula, e dopo il rifiuto a subentrare da parte di tutti gli altri membri della lista non eletti (Carlo Carlino, Raffaella Meringolo, Claudio Burlo, Maurizio Cinti e Ivan Zanovello), fu costretto a rassegnare le dimissioni da sindaco, e il Comune di Saluggia fu ignominiosamente commissariato.
Quindi, altro che «gogna mediatica»: il problema, per Pasteris, non furono le minoranze, o i giornali, o le malelingue. Fu che molti dei suoi, vedendo come faceva il sindaco, in Amministrazione con lui non volevano più stare: per questo, solo per questo, fu costretto a lasciare anzitempo la poltrona.
Per carità: uno può provare – per intortare i gonzi o per conservare un po’ di autostima – a raccontarla come gli vien comodo, ma i fatti – verificabili e incontrovertibili – hanno la testa dura. (u.l.)
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