Maura Forte in tribunale scarica su non meglio precisati «collaboratori» la responsabilità di aver autenticato, alle elezioni provinciali del 2011, firme a sostegno del candidato Luigi Bobba «raccolte in modo non corretto».
VERCELLI. Sono otto le richieste di condanna formulate dal pubblico ministero Davide Pretti, al termine della requisitoria, nel processo in corso al tribunale vercellese sull’autenticazione di firme a sostegno delle candidature per le elezioni provinciali del 2011. Per l’ex presidente del Consiglio comunale Camillo Bordonaro (38 firme contestate) il pm ha chiesto una condanna a due anni di reclusione; per l’ex consigliere comunale Guglielmo La Mantia (12 firme contestate, «mezza caserma dei carabinieri») la richiesta è di un anno e nove mesi; per l’attuale sindaco Maura Forte (a cui vengono contestate 9 firme: 6 non autentiche e 3 non apposte in sua presenza) ha chiesto la condanna a un anno e 6 mesi. Per Antonio Prencipe (ex vicesindaco, attuale segretario cittadino di Forza Italia, 5 firme contestate) 1 anno, per Armando Apice (anch’egli 5 firme) 11 mesi, per Emanuele Pozzolo e Massimo Materi (2 firme) 9 mesi, per Filippo Ristagno 8 mesi. Pretti ha inoltre formulato richiesta di assoluzione, per non aver commesso il fatto, per Pier Giorgio Comella, Giovanni Corgnati, Piero Giuseppe Santià, Gino Corradini, Valentino Guglielmino e Alessandro Demichelis. Pretti ha chiesto per tutti le attenuanti generiche.
Prima della requisitoria Maura Forte ha chiesto di rilasciare dichiarazioni spontanee. L’attuale sindaco – all’epoca consigliera comunale – ha ricostruito le modalità di raccolta firme per la candidatura alla presidenza della Provincia di Luigi Bobba: raccolta che avveniva in piazza Cavour e nella sede cittadina del Partito Democratico. Le liste a sostegno di Bobba erano quattro: Pd, Lista civica Vercelli Valsesia, Moderati, Pensionati e invalidi. «Durante la raccolta – ha detto Forte, secondo quanto riportato da La Stampa – c’ero sempre io a garantire l’autenticità delle firme. Con il Pd avevo dei collaboratori di mia conoscenza e di mia fiducia, e non ci sono stati problemi. Le altre due liste avevano collaboratori che non conoscevo. Non posso fare altro che pensare che mi siano state sottoposte firme raccolte in modo non corretto, in contesti non adeguati, ma che non sia stato possibile, da parte mia, rilevarle. Non sono stata in grado, in quel momento, di comprendere se c’erano anomalie: io ho firmato in buona fede perché convinta che fossero firme raccolte in quel contesto. Massima buona fede e trasparenza da parte mia, come ho sempre voluto. E’ stato un evento increscioso che mi è sfuggito e non mi è stato permesso rilevare».
Insomma: qualche collaboratore le avrebbe sottoposto «firme raccolte in modo non corretto», e lei la ha comunque autenticate.
La normativa sulla raccolta e autenticazione delle firme prevede che
Il consigliere comunale, nel momento in cui autentica le firme, è pubblico ufficiale; e le deve autenticare non dopo o «in altri contesti», ma alla presenza di chi firma.
Per identificare i sottoscrittori ci sono due possibilità: o per conoscenza personale diretta, o mediante l’esibizione di un documento di identificazione. E l’autenticatore scrive:
Cosa c’entrino, in tutto ciò, i «collaboratori che non conosceva», e che avrebbero raccolto le firme «in altro contesto», non si sa. Lo scaricabarile magari in Municipio funziona, in tribunale – quando le responsabilità sono personali e non delegabili – mica tanto. Forse è il caso che qualcuno le spieghi (magari prima della sentenza, e della raccolta di firme per le prossime elezioni) che il pubblico ufficiale era lei. (u.l.)
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